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Pensieri su Ingurtosu

Si parte dal concetto di rudere, la vita e la storia dello stesso. Si lascia alle spalle la riqualificazione, ma si agisce sul vissuto dello stesso.

Il rudere resta rudere mentre tutto intorno si sviluppa il mondo contemporaneo, legato a doppio filo agli avvenimenti degli anni ottanta e novanta; gli stessi proprietari-minatori che abbattono i  tetti delle proprie abitazioni per non pagare la tassa sugli immobili. Affacciarsi ad Ingurtosu significa trovare un paesaggio lunare post disastro, vuol dire credere di essere giunti lì dopo un bombardamento. Ma basta soffermarsi un minimo in più e si capisce la storia, il vissuto e la prosecuzione di un racconto lungo centocinquanta anni.

Quello che può sembrare disastro non lo è più e forse non lo è mai stato, dallo pseudo disastro si assurge a nuovo spirito, a nuova vita. È la catastrofe la madre del nuovo vivere dei minatori, mai più tali ma ugualmente segnati.

Il territorio è amore, la cicatrice dell’anima della miniera non è più da nascondere,  è da mostrare ed esaltare  come identità di se stessi e superiorità nella consapevolezza che la catastrofe mette “l’uomo disastrato” ad un livello superiore rispetto “all’uomo agiato”.

Pietra, polvere, sangue e fango non sono altro che l’antitesi stupefacente del vivere odierno, del sentirsi oggi occidentali e fortunati, dimenticando il recente passato. L’orgoglio di quel fango e della polvere portano l’uomo che si imbatte in questo a sentirsi privilegiato nel vivere questa esperienza, universalmente baciato e d accarezzato dal rudere.

È facile, comodo, agevole e giusto prendere una camera in un albergo che era un ex deposito della miniera, è bello sentirsi coccolati anche non pensando a tutto quello che di lì è passato; vivere il rudere invece diventa esperienza onirica e viscerale, pone chiunque si avvicini in una posizione privilegiata. Volontariamente si lascia il fianco scoperto agli attacchi  irruenti, amorosi del vissuto di quel posto. Bisogna avere coraggio e consapevolezza nell’affrontare tutto il peso del territorio su cui insiste imprimendo una forza di gravità tripla su ogni tipo di fascinazione e repulsione.

Essere pronti a farsi penetrare da una sonda che attraversa tutto il corpo e lascia il seme della consapevolezza nel profondo rendendoti arcaico e nello stesso momento moderno incubatore di passione, fatica, sudore, vita, morte, amori, schegge…

Si va via da Ingurtosu cambiati e non rilassati. Nessuno ha curato il tuo corpo con massaggi e leccornie, ma tutto quello che si respira e si vive in questo posto armonizza anima e corpo, bisogna essere predisposti a questo.

Tutto è sempre stupore: Naracauli è stupore, la geomorfologia è stupore, le dune sono stupore, basta, ora lo stupore deve cedere il passo alla consapevolezza; è stucchevole lo stupore fine a se stesso.

Non ci si deve approcciare più alla miniera e al suo multiforme concetto come luogo di visita, non può essere luce per le falene, non si può fentrare in una abitazione o in una galleria non pronti, bisogna sapere dove si sta andando.

La fascinazione iniziale non ha motivo di esistere, è sintomo di superficialità; bisogna essere già miniera prima di calarsi nelle viscere. Intraprendere questo viaggio vuol dire indossare casco, boccaglio, calarsi nel pozzo, rannicchiarsi camminando, perforare, far brillare, emergere, lavarsi, toccare i figli, amare la moglie, scappare in cantina e ricominciare tutto di nuovo.

Il luogo catartico per vivere il vissuto è la casa di un minatore, oggi catastroficamente un rudere. Da ogni catastrofe nasce vita, diversa ma fenice sempre più bella. Chi è disposto alla lacerazione delle “carni non carni” può diventare parte integrante della nuova visione e rendere immortale un luogo.

Ciao Luca e grazie mille per le tue bellissime parole. Io ho una doppia fortuna quando parliamo di Ingurtosu, la prima è di esservi stati vicino durante i vostri studi e ricerche e la seconda è essere un arburese.
Accompagnandovi, parlando con voi, vivendo seppur non direttamente quest'esperienza, ho visto e sentito la vostra passione crescere, il vostro sgomento nel vedere l'abbandono, la vostra tristezza nel pensare a cos'era il villaggio di Ingurtosu e cosa oggi ne resta... sono stati una ventina di giorni intensi quelli spesi con voi, giorni preziosi che mi hanno portato, se possibile, ad appassionarmi ulteriormente alla storia del villaggio di Ingurtosu.
Passiamo alla seconda fortuna, quella dell'essere arburese. Non è semplice spiegare cosa sia Ingurtosu per noi, l'amore per questo borgo incantato ha un non so che di mistico, c'è e basta, forse ereditato dai nostri nonni che lì hanno vissuto, lavorato, amato, sono morti.... La miniera ha portato il lavoro ma la miniera ha chiesto il suo prezzo di sangue per il benessere che ha regalato alle famiglie. Per un arburese Ingurtosu non è solo un borgo, è il simbolo di un periodo che ha visto il nostro paese crescere, che ci ha visti protagonisti con le aziende minerarie principali del primo regno d'Italia, è il simbolo della nostra capacità di eccellere che non è mai venuta meno: sono tanti gli arburesi esportati nel mondo con ricercatori e progettisti negli Stati Uniti, in Germania, in Svizzera.... Vivendo tutti i giorni in paese non sembra neanche vero, a volte cadiamo in una depressione da chi non vede vie d'uscita, da chi dispera per il futuro, eppure Ingurtosu ci ricorda come dal nulla siamo divenuti grandi, ci fa riflettere sui tanti fratelli prestati al mondo che parlano di noi e della nostra casa... Ingurtosu è Ingurtosu, oggi un villaggio fantasma, una serie di ruderi ma per noi... per noi Ingurtosu è un sogno che non finirà mai.

Roberto Musa

By admin

leggendo il tuo articolo non so perchè ma mi sono venute in mente le mani callose e nodose prima di mio nonno ed ora di mio padre, credo siano il simbolo di tutto quello che ci stiamo dicendo in queste righe, se ci riflettiamo tutto quello che oggi noi osserviamo (dai ruderi di Ingurtosu alle nostre campagne abbandonate) è stato creato appunto da quelle mani antiche, tu dici che " bisogna essere già miniera prima di calarsi nelle viscere. Intraprendere questo viaggio vuol dire indossare casco, boccaglio, calarsi nel pozzo, rannicchiarsi camminando, perforare, far brillare, emergere, lavarsi.................." ed è proprio questa la chiave di volta!!!!, dobbiamo lasciarci baciare e accarezzare (come tu dici) dagli antichi saperi materiali e immateriali dei nostri nonni e solo così potremmo viverli appieno noi e coloro i quali vorrano condividerli con noi.

By paolo (non verificato)

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